Il marchio Iceberg compie 50 anni. Mezzo secolo di moda, di continue connessioni con lo spirito dei tempi, di una visione sempre propositiva, inventiva, evolutiva. Così esce per la serie de La Nave di Teseo il volume “Iceberg 1974-2024 Rewind-Fast Forward”, ricapitolazione incalzante di cinquant’anni di una storia unica, che ha legato la moda all’immaginario collettivo. Concepito come uno scrapbook – una raccolta di pagine strappate dai giornali accumulate negli anni, conservate per il loro valore – e diviso per decadi, il libro racconta Iceberg dagli inizi fino a oggi, con ampi excursus sul lavoro di Jean Charles de Castelbajac e James Long, i due più longevi direttori creativi, e un regesto pressochè completo delle indimenticabili campagne pubblicitarie, scattate da autori del calibro di Oliviero Toscani, Steven Meisel, Peter Lindbergh, Glen Luchford, Patrick Demarchelier, David Lachapelle. Il volume è stato disegnato da Luca Stoppini e curato da Angelo Flaccavento. Descrive un viaggio coinvolgente che, costruito in accelerazione, invita alla pausa e all’approfondimento. Il valore del percorso è restituito dall’ abbondanza delle immagini, cui fanno da cornice un saggio di Flaccavento sull’evolversi delle identità stilistiche di Iceberg, e uno studio di Marta Franceschini sul distretto romagnolo come territorio trainante del made in Italy e radice del successo del marchio.
La storia del brand non avrebbe potuto prendere il suo corso senza l’intuito e l’energia dei fondatori del gruppo Gilmar, Giuliana Marchini Gerani e Silvano Gerani. Nel 1974, Giuliana Gerani avverte il cambiamento nell’aria, individua nello sportswear il futuro del vestire, va a Parigi e tra i talenti proposti da un agente sceglie il più laterale e radicale, il meno incline ai compromessi: Jean-Charles de Castelbajac. Punta sul cavallo di razza, accetta il rischio e questo la premia. È Castelbajac che inventa Iceberg fin dal nome, rimanendo alla guida creativa per tredici anni, codificando una identità singolare e irripetibile. La lingua di Castelbajac è radicale nella sua vitalistica elementarità. Le forme sono pure e modulari. Le rende speciali la mescolanza di materiali: megamix fino ad allora mai visti di maglia, pelle, montone. La maglia viene sdoganata, usata come un manifesto e decorata con una araldica modernissima, nella quale gli stemmi dell’aristocrazia, ormai polverosi, sono sostituiti da personaggi dei cartoni animati, democratici e alla portata di tutti, rapiti dalle comic strip e dirottati sui vestiti, allargati e piazzati dappertutto come l’insegna di un cangiante casato neo-pop cui appartenere. Tale intuizione marchia a fuoco Icerberg e lo consegna all’immaginario collettivo.
Ma il percorso non si ferma. Il cambiamento è continuo. Dopo Castelbajac, sono molti i talenti puri scelti un attimo prima di diventare big: Anna Sui, Marc Jacobs, Dean e Dan Caten, Giambattista Valli, Kim Jones e in fine James Long, il solo che possa paragonarsi a Jean-Charles de Castelbajac per estensione e profondità del mandato.
Una storia nella storia, non meno di impatto, è la comunicazione, affidata a fotografi scelti per lo sguardo temerario e innovativo. Il seme dell’iconografia pubblicitaria di Iceberg è gettato ancora una volta da Jean-Charles de Castelbajac, che per la prima campagna, nel 1983, chiama all’appello l’amico e sodale Oliviero Toscani, e raccoglie, invece di modelli professionisti, i creativi che in quel momento vivace stanno definendo il panorama della cultura popolare, nei più diversi ambiti. Quelle foto non sono scatti di moda ma ritratti. Fanno storia. Anche nelle prime campagne di Steven Meisel, negli anni Novanta, sono i caratteri e non la moda ad emergere. Seguono autori del calibro di Glen Luchford, Peter Lindbergh, David Lachapelle, Peter Arnell. ICEBERG fa breccia con gli oggetti che produce, e con il modo in cui li racconta.
Tutto il ricavato dalla commercializzazione del libro verrà devoluto all’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna a sostegno dei corsi di laurea Culture e pratiche della Moda e laurea magistrale in Fashion Studies del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna – Campus di Rimini.
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