Debutto “Vertiginoso” a Parigi per l’Haute Couture Valentino di Alessandro Michele

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Anche farsi ossessionare dalla cultura e dal raggiungimento della perfezione nella propria arte (tipica mania dei couturier) può causare umane vertigini. Così la pensa Alessandro Michele, direttore creativo di Valentino, che ha intitolato Vertigineux”, Vertiginoso” in italiano, la sua visionaria collezione-debutto di haute couture per Valentino, che ha sfilato a Parigi, nel Palazzo della Borsa, davanti a un parterre di celebrities capeggiate da sir Elton John e da Carla Bruni Sarkozy.

Con le vertigini si ha la sensazione, pur restando fermi, che tutto giri attorno a noi. Ma Alessandro Michele era fermo da mesi, immerso nell’archivio della sede storica della maison Valentino, a Roma, a piazza Mignanelli, a studiarne i codici della maison e il passato, per poi rielaborare tutto a modo suo, con il suo stile assolutamente distinguibile. Certo, il designer deve aver avuto davvero i capogiri studiando e rielaborando l’immenso archivio di uno dei più importanti couturier italiani, pur di non deludere le aspettative di tutti. Aggiungiamo a questo suo viaggio nella maison del fondatore Valentino Garavani, come ha da sempre specificato lui – omettendo il regno successivo di Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli e di quest’ultimo come solista – tutto il suo pazzesco bagaglio culturale, quello di uno stilista visionario, libero intellettualmente, che ha sempre mostrato una grande predisposizione a curiosare in altre arti, dalla musica al teatro, dalla pittura all’architettura. Uno che si spezza ma non si piega, capace di dire “no, io sono come sono e non cambio” anche al Gruppo Kering, quando era lo stilista di Gucci.

Il risultato di tutto ciò è stata una collezione di creazioni assolutamente teatrali e fuori dagli schemi, abiti-scultura dalle costruzioni molto complesse, gonne imbottite di crinolina, o gonfie sui fianchi con i paniers, abiti fatti con migliaia di micro ruche, volant, gorgiere, sovrapposizioni, incrostazioni di ricami di cristalli, d’oro e d’argento, abiti da ballo e da Met carpet, patchwork di tessuti preziosi, copricapi e maschere a coprire gli occhi, istoriate di pietre a nascondere metà volto, portate da modelle di tutte le età, spesso non truccate, perché il protagonista doveva essere l’abito.

Una teatralità raggiunta anche nella presentazione: i capi apparivano dall’ombra come fantasmi, davanti a un sipario blu notte, sul cui sfondo, un pannello digitale di luci rosse descriveva con tante parole, apparentemente slegate tra loro, in scorrimento continuo, i tessuti con cui erano stati fatti, le tecniche utilizzate, i personaggi femminili che li avevano ispirati, i riferimenti letterari, filosofici, storici, artistici. Soltanto alla fine della sfilata, Alessandro Michele confessa in una nota, di aver tratto l’ispirazione iniziale da “L’Infinito delle liste” di Umberto Eco.
“L’elenco è all’origine della cultura. Fa parte della storia dell’arte e della letteratura.
E cosa vuole la cultura? Rendere comprensibile l’infinito. Vuole creare ordine — non sempre, ma spesso. E come, come esseri umani, affrontiamo l’infinito? Come possiamo
afferrare l’inafferrabile? Attraverso elenchi, cataloghi, collezioni nei musei, enciclopedie e dizionari. L’elenco non distrugge la cultura, la crea” viene ricordato citando il grande semiologo e scrittore.
“Il fascino per gli elenchi e il gusto per l’enumerazione di cose, persone e fenomeni – aggiunge lo stilista – accompagna da sempre la storia dell’umanità. Nonostante la sua apparente semplicità, la figura retorica dell’elenco è stata raramente approfondita dagli studiosi in relazione al suo potenziale narrativo e poetico. A Umberto Eco, a differenza di altri, va il merito di aver portato un’interpretazione suggestiva di questo topos alla ribalta del dibattito contemporaneo, raccogliendo e analizzando in dettaglio esempi che attraversano arte e letteratura: da Omero a Joyce, da Ezechiele a Gadda, passando per Arcimboldo, Calvino e Moreau”.
“Secondo Umberto Eco – spiega Michele- ogni elenco oscilla tra due tendenze opposte e complementari. Da un lato, è un tentativo di confinare l’estensione infinita dell’esistente entro una cornice significativa. Un modo per portare un po’ di ordine nel caos dell’universo. Tali tentativi di enumerazione svolgono principalmente una funzione pratica, come nella
compilazione di beni testamentari, inventari di biblioteche o archivi museali. Dall’altro lato, l’elenco può trascendere in poesia diventando uno strumento visionario, estetico e narrativo. In questo caso l’elenco, inchinandosi di fronte all’indicibile, allude vorticosamente
all’infinito. Non mira a domare il caos, ma piuttosto a contemplarlo. Queste due dimensioni spesso coesistono, organizzando incontri segreti. Più specificamente, Eco menziona ‘la vertigine dell’elenco – ricorda Michele – per evocare quella particolare sensazione prodotta dall’elencazione tumultuosa, sfrenata e ossessiva che spesso si ferma sull’orlo di un eccetera. Quell’eccetera crea una sospensione di fronte a qualcosa che può potenzialmente estendersi all’infinito, che non può essere contenuto o confinato. La vertigine nasce, infatti, dalla natura incompiuta di ogni possibile catalogazione; giace nella sete di infinito che dimora in ogni cosa finita. Queste considerazioni mi hanno accompagnato durante la preparazione della mia prima sfilata di Haute Couture. E mi hanno spinto a immaginare ogni abito unico, finito e irripetibile, come un catalogo ininterrotto e potenzialmente infinito di parole: un elenco sgrammaticato che procede per accumulazione e giustapposizione. Quarantotto abiti: quarantotto elenchi”.

Ecco spiegato perché nella sfilata, ogni capo è un elenco e in ogni elenco coesistono elementi materiali e immateriali: fili emozionali, proporzioni misurabili, trame cinematografiche, riferimenti pittorici, note merceologiche, trapunte biografiche, geometrie cromatiche, cuciture filosofiche, segni musicali, orditure simboliche, ricami linguistici, frammenti botanici, archetipi visivi, nodi relazionali, tessuti storici, intarsi narrativi. Ogni abito evoca per associazione una pluralità di mondi interconnessi in una febbrile e incessante stratificazione di riferimenti che ne fa esplodere l’unicità”.

In pedana dunque, sfilano creazioni che rimandano ad Arlecchino, che apre il defilè con uno spettacolare capolavoro sartoriale a losanghe di micro ruches (1300 ore di lavorazione),  Maria Antonietta, a Luigi XVI, ad Alice nel Paese delle Meraviglie, ad Arlecchino, a Valentino Garavani, a Vitruvio, alla Commedia dell’Arte, e poi Crinoline, Paniers, Mosaici, Anni Venti, Cleopatra, Vitruvio, Nietzsche, Shakespeare, Posidonia.

Secondo lo stilista “Calvino chiamerebbe questo elenco ‘uno zodiaco di fantasmi‘, una poetica dell’eccetera dove ogni filo, ogni cucitura, ogni traccia di colore si trasfigura in una molteplicità di parole che trascendono i confini del visibile. Una costellazione di visioni che trema e si dissolve nel vortice dell’enumerazione. Così ogni abito non è solo un oggetto, è piuttosto il nodo di una rete di significati, ma una cartografia vivente che conserva tracce di memorie visive e simboliche. È un archivio narrativo dove improbabili combinazioni trovano armonia, richiami trasversali a epoche, culture ed echi di storie passate risuonano con il presente. È un elenco che si dipana in un’esplosione di combinazioni, richiami, echi fino al limite del dicibile. È il viaggio nella vertigine di una molteplicità incompiuta.

Eccetera eccetera, eccetera, come viene scritto alla fine del fashion show che termina sulle note di Giulietta e Romeo di Prokofiev.

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