Fondazione Prada presenta la mostra “A Kind of Language: Storyboards and Other Renderings for Cinema”, dal 30 gennaio all’8 settembre 2025 (anteprima stampa mercoledì 29 gennaio), negli spazi di Osservatorio, nella Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, lo spazio di Fondazione Prada dedicato alla sperimentazione dei linguaggi
visivi e alla ricerca sui possibili punti di contatto e intersezioni tra tecnologia e varie
espressioni culturali.
La mostra, curata da Melissa Harris, esamina il complesso processo creativo che anticipa la realizzazione di un film esplorando storyboard e altri materiali come moodboard, disegni e schizzi, scrapbook e quaderni, sceneggiature commentate e fotografie. A Kind of
Language comprende oltre mille elementi creati tra il 1930 e il 2024 da più di 50 autori tra i quali registi, direttori della fotografia, artisti, grafici, animatori, coreografi e altre figure legate alla produzione di film e video.
Georges Méliès è stato tra i primi registi a fare uso di disegni preparatori dettagliati per
ideare le scene dei suoi film fantasy e di fantascienza, tra cui il capolavoro Viaggio nella luna (Le voyage dans la lune, 1902). Tuttavia, le origini dello storyboard risalgono all’inizio del XX secolo e sono legate allo sviluppo dell’animazione. A partire dagli anni Trenta, i Fleischer Studios e la Walt Disney Productions, e poi negli anni Quaranta la United Productions of America, commissionavano ad artisti la creazione di sequenze di schizzi e altri elementi visivi durante l’elaborazione della trama e la definizione dei personaggi. “A Kind of Language” include disegni di Betty Boop, Braccio di Ferro, Mr. Magoo, Pinocchio, Biancaneve e Topolino nel classico d’avanguardia Fantasia (1940) di Walt Disney, oltre ad altri celebri personaggi dei primi film d’animazione. Negli stessi anni lo storyboard diventa uno strumento fondamentale per l’elaborazione delle opere cinematografiche, dall’animazione al live-action, una rappresentazione visiva concreta e sistematica dello svolgimento della storia. Decenni dopo, lo storyboard continua a essere il precursore di progetti di animazione, come dimostrano i disegni preparatori di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli esposti in mostra.
“Per molti creare gli storyboard – spiega Melissa Harris – è parte integrante del
processo. Impostare visivamente una scena per poi definirne l’andamento può aiutare il team coinvolto nella realizzazione del film a riflettere sulle relazioni tra i personaggi, a immaginare come sviluppare la narrazione o a comprendere il miglior modo di trasmettere l’essenza di una particolare sequenza. Può anche aiutare a correggere i problemi, per esempio quando qualcosa non sembra del tutto convincente in un personaggio o in un’interazione fisica, e offrire un riferimento visivo agli attori. Sul piano tecnico, gli storyboard possono aiutare il regista a determinare le angolazioni più efficaci per l’illuminazione e le riprese, o il miglior modo d’impiegare le dissolvenze ed eventuali effetti speciali. Gli storyboard hanno un duplice scopo: da una parte rappresentano la visione creativa del regista interpretata dal creatore di storyboard, quando non corrisponde al regista stesso, dall’altra accompagnano a volte la realizzazione tecnica del film. Gli storyboard possono essere considerati come un vero e proprio linguaggio che integra ed elabora un concetto o una sceneggiatura. Rappresentano la visualizzazione preliminare delle idee e della visione del regista prima dell’inizio delle riprese, al di là di chi ne sia l’autore. Strumenti flessibili e in continua evoluzione, semplificano la condivisione di uno schema di lavoro utile a coordinare le attività di diverse figure professionali dentro e fuori dal set. Questi materiali hanno una funzione comunicativa e pratica, sono fatti per essere copiati, trasmessi, consultati e modificati, e raramente sono concepiti come opere uniche. Il loro ruolo è fondamentale in diverse fasi della produzione cinematografica: dalla preproduzione, durante la quale permettono di visualizzare le idee del regista, alla produzione, come guida per l’organizzazione delle riprese, fino alla postproduzione, momento in cui contribuiscono all’editing e all’inserimento di effetti speciali.
L’allestimento della mostra, concepito da Andrea Faraguna dello studio di architettura Sub di Berlino, prende ispirazione dallo storyboard, punto di partenza della creazione cinematografica e strumento per comporre e comunicare il processo. Concentrandosi sul ruolo di questo strumento per il cinema, l’allestimento presenta e reinterpreta l’ambiente di lavoro degli artisti di storyboard traducendolo in un’esperienza spaziale. I tavoli espositivi ispirati alle scrivanie da disegno sono al centro del design della mostra. Ogni tavolo è dedicato a un film specifico di cui viene presentata la narrativa visuale sotto forma di una sequenza di scene che possono essere osservate da vicino.
Per aumentare la resa spaziale ogni scrivania è associata a un elemento corrispondente e inverso sospeso a soffitto. Insieme formano un effetto visivo a imbuto, creando una linea d’orizzonte continua larga 40 cm che guida i visitatori nel percorso espositivo. Questa prospettiva incornicia la vista sulla cupola della Galleria Vittorio Emanuele II al di là delle vetrate di Osservatorio stabilendo una connessione tra gli spazi interni e l’architettura storica di Milano. In pianta, la disposizione dei tavoli evoca la struttura sequenziale di una pellicola cinematografica. L’organizzazione spaziale vuole generare un ritmo fluido e dinamico che guida i visitatori attraverso la mostra come se si muovessero tra i fotogrammi di un film. Questa progressione permette al pubblico di vivere gli storyboard non come semplici immagini statiche, ma come elementi integranti della narrazione cinematografica.
Uno degli obbiettivi principali degli storyboard e di altri strumenti visivi per l’elaborazione di
un film è la definizione del senso del luogo, come il disegno delle acque del Mar Rosso che si separano nel film I dieci comandamenti (The Ten Commandments,1956) di Cecil B. DeMille o gli studi del 1975 dell’art director Max Douy per le ambientazioni di Dune, adattamento del romanzo di fantascienza che avrebbe dovuto girare Alejandro Jodorowsky ma che è rimasto incompiuto. In altri casi, una sequenza di disegni suggerisce un’ambientazione, come gli elaborati storyboard di Edgar Clement per la dark comedy di Alejandro González Iñárritu Bardo, la cronaca falsa di alcune verità (Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades, 2022). Storyboard, fotografie, altri elementi grafici e appunti possono suggerire il modo incui la “sensazione” del luogo sarà espressa ed elaborata, specialmente quando l’ambientazione ricopre un ruolo fondamentale, come nel caso del film Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin, 1987), opera lirica ed esistenziale di Wim Wenders. Registi come Martin Bell e Agnès Varda e l’artista Carrie Mae Weems hanna utilizzato le fotografie sia come riferimenti visivi che come componenti integranti delle rispettive opere: Ward 81 Voices (2023), Salut les Cubains (1964) e Leave! Leave Now! (2022).
In altri casi gli storyboard sono fondamentali per definire l’identità dei personaggi di un film, come l’indimenticabile protagonista di Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini, interpretata da Anna Magnani, le sei metamorfosi di Bob Dylan in I’m Not There (2007) di Todd Haynes, le due figure femminili che si fondono nella scena cruciale di Persona (1966) di Ingmar Bergman e le cinque sorelle Lisbon del film Il giardino delle vergini suicide (The Virgin Suicides, 1999), opera prima di Sofia Coppola.
Approfondire questi e molti altri esempi analoghi può contribuire a comprendere le differenze a livello metodologico tra cinema europeo e americano. Se gli storyboard realizzati in Europa incarnano generalmente un approccio più artistico e artigianale, le produzioni e i materiali dell’industria d’oltreoceano sono il risultato di una visione rivolta più all’efficienza e alla produttività. Se quasi tutti gli storyboard servono in qualche misura a spiegare o a far avanzare la narrazione di un film, alcuni, spesso accompagnati da appunti sulle riprese, indicano la progressione della trama fotogramma per fotogramma, come gli storyboard del Piccolo Buddha (1993) di Bernardo Bertolucci; quelli della regista Tan Chui Mui per Barbarian Invasion (Ye man re ru qin, 2021); i disegni di J. Russell Spencer per Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) di Charlie Chaplin; quelli di Pablo Buratti per Julieta (2016) di Pero Almodóvar e quelli di Terry Gilliam per Paura e delirio a Las Vegas (Fear and Loathing in Las Vegas, 1998) e L’uomo che uccise Don Chisciotte (The Man Who Killed Don Quixote, 2018).
Questo senso di progressione si intensifica nelle animatics, storyboard animati che integrano suono e movimento e, dunque, suggeriscono anche i tempi di una scena. Buratti ha utilizzato questa tecnologia per la serie televisiva horror Trenta denari (30 Monedas, 2020-23) diretta da Álex de la Iglesia. Jay Clarke e Edward Bursch hanno collaborato con Wes Anderson, sviluppando questo strumento per The Grand Budapest Hotel (2014).
Storyboard e disegni preparatori hanno a volte la qualità di opere d’arte, come nel caso dei
disegni naturalistici a inchiostro di Satyajit Ray per il classico del 1955 Il lamento sul sentiero (Pather Panchali). Il regista Jia Zhang-Ke ha indagato la dimensione artistica di questi materiali con la video-installazione a tre canali Telling from the Images, in cui esplora l’evoluzione creativa del proprio film Caught by the Tides (2024) attraverso varie fasi: dalle immagini originali, al montaggio, fino alla versione finale. Negli ultimi decenni della sua produzione, da Histoire(s) du cinéma (1988-98) al suo ultimo lungometraggio Le livre d’image (2018), Jean-Luc Godard ha trasformato in cinema le idee trasposte su storyboard oscrapbook grazie a un originale approccio collagista e saggistico che ha dato vita a un “fraseggio di momenti” e sollevato interrogativi sulla produzione di immagini, l’arte, la religione, la rappresentazione e la legge.
Storyboard annotati, disegni e schemi sono utilizzati anche nei film di musica e danza, come Stop Making Sense, il film-concerto dei Talking Heads diretto da Jonathan Demme nel 1984, o il progetto collaborativo e sperimentale Torse (1976) del coreografo Merce Cunningham e del video artista Charles Atlas. La mostra indaga la combinazione tra movimento coreografico e processo filmico presentando la sequenza di disegni di Matthew Barney, dal titolo Choreographic Suite, che documenta una fase cruciale dell’ideazione della coreografia del coro nel suo capolavoro Cremaster 1 (1996).
Il secondo capitolo di “A Kind of Language: Storyboards and Other Renderings for Cinema”
si terrà nella sede di Prada Rong Zhai a Shanghai da novembre 2025 a gennaio 2026. La
mostra a Milano è accompagnata da una pubblicazione illustrata della serie dei Quaderni,
pubblicata da Fondazione Prada, che include un testo della curatrice Melissa Harris e un
saggio visuale ideato da Sub.
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